numero 14
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26 luglio 2010
“There is an ocean that divides …”
Scott Matthew
 
2009 Glitterhouse Records



Recensione a Cura di Ugo Sottile

Australiano del Queensland, passa da Londra per stabilirsi a New York.
Già membro della band di rock alternativo Elva Snow con l’apporto di Stewart Corbin ex Morrissey band, inizia ad avere notorietà nel paese del sol levante grazie alle musiche incluse nella soundtrack della serie “anime” The ghost in the shell; brani come Psychedelic soul, Lithium flowers, Be human, Beauty is within us,Trip city oppure Is it real insieme a Yoko Kanno nel cartoon be bop cow boy sono fra i primi ad avere un riscontro almeno in Giappone. Scott Matthew, primo album omonimo è del 2008, imperdibile esordio da solista per modo di dire perché si circonda sempre di artisti di ottimo livello, brani come Amputee, Abandoned, Little bird, In the end e Market me to children, ti penetrano dentro sottilmente ma in modo implacabile e colpiscono nel segno scavando un solco indelebile neel’anima.

White Horse
http://www.youtube.com/watch?v=lAbF2lE9Dnc



Dall’aspetto trasandato un po’ frikkettone d’altri tempi, con i suoi larghi camicioni collanine e braccialetti e la lunga barba incolta che gli conferisce un aspetto al limite fra il Giovanni Battista incastrato da Salomè e un figlio dei fiori, riesce ad imprimere alla sua musica una malinconia che ti prende sin dal primo ascolto .Tratta di amori difficili o di situazioni emotivamente conflittuali sul punto di interrompersi e perdurare nel tempo proprio perché finiti come se ondeggiasse in una dimensione dove fra l’avere e l’essere prevalesse la terza opzione, quella del divenire, intesa non come posizione filosofica bensi’ come l’accettazione di un fato ineluttabile che pur governando la tua vita ti permette di viverla a pieno. Sembra uno di quei personaggi di Pessoa (Fernando) quasi stanco di cio’ che non ha avuto e che non avrà mai o come colui che porta le ferite di tutte le battaglie evitate anche se di fatto almeno un segno di qualcosa che non ha potuto evitare gli sia rimasto, la perdita dell’uso del dito medio della mano destra, la cosa risulta quanto mai strana, visto che in seguito a questo incidente di percorso si è trovato costretto a ripiegare a suonare l’ukulele, sarà un caso ma questa chitarrina, quasi finta dal suono squinternato, gli si addice perfettamente e gli risulta congeniale.
La sua voce recita delicati intrecci, capace di imprimere un’intensità emotiva fuori dagli schemi, a tratti flebile o spezzata ma sempre colma di incisività e reconditi anfratti di malinconia, la voluta assenza di percussioni amplifica se vogliamo la dimensione intimista e poetica del suo linguaggio.
Anche “There is an ocean that divides …” sempre acustico ma piu’ orchestrato mantiene intatte le qualità dell’artista. Forse anche piu’ bello dell’album di esordio, poteva essere difficile ripetersi agli stessi livelli, ma Scott Matthew ci riesce e cosa ancora piu’ difficile esplorando ancora una pseudo folk-wave molto personale include la bellissima White horse, la sua bianca anima, la splendida For Dick, la superba Silent night, l’impareggiabile Every travelled road… ma gli aggettivi sono sprecati, ascoltatelo vista la scarsa presenza di veri artisti, cominciate da lui se volete.La sua estrema sensibilità traspare anche dalla scelta, nelle sue innumerevoli performances live, di includere covers dei Radiohead, degli Smiths, di Neil Young o di far rivivere il troppo presto scomparso Elliott Smith con la sua delicata interpretazione di Beetween the bars o rivisitare Candy says di Lou Reed.
Se la Poesia langue, forse Scott Matthew potrebbe esserne un ottimo surrogato.

Questa non è pubblicità commerciale, ma una segnalazione ai nostri lettori nel rispetto del progetto editoriale Timeoutintensiva (N° 14/Luglio 2010).

 
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