2006 Raffaello Cortina
Recensione di:
Lorenzo Palizzolo, dottore in Filosofia.
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È probabile che con il lavoro di Giacomo Rizzolatti e Corrado Sinigaglia, So quel che fai, si siano aperte le porte verso il superamento della storica dicotomia tra pensare e agire, tra processi cognitivi e gesti: secondo cui funzioni sensoriali, percettive e motorie sarebbero prerogativa di aree cerebrali tra loro distinte e separate.
È proprio la storia di questo superamento che questo saggio, nato dall'incontro tra un neuroscienziato e un filosofo, vuole provare a raccontare: una storia basata su esperimenti ma anche su intuizioni, che di certo non manca nel riportare i passi necessari della letteratura specialistica sul percorso che ha condotto alla scoperta dei neuroni specchio; scoperta che ha decisamente rivoluzionato il modo di intendere il funzionamento del cervello e i rapporti sociali.
Si tratta di un percorso di ricerca iniziato da tempo, ma che negli ultimi vent'anni ha condotto alla scoperta di due importanti tipologie di neuroni, entrambi implicati nel nostro rapporto con gli oggetti: un primo gruppo legato alla visione di un oggetto, che ci consente di prevederne le caratteristiche, come peso, forma e dimensione, ancor prima di averlo afferrato, dandoci così la possibilità di entrare in interazione con esso calibrando anticipatamente la forza e la posizione della nostra mano per raggiungere il nostro scopo. Un secondo gruppo invece, legato all'osservazione
stessa di un azione compiuta da un altro individuo. Quest' ultimo in particolare, ha la peculiare caratteristica di fare attivare, nel cervello di un soggetto che osserva una determinata azione compiuta da un altro soggetto, una serie di reazioni speculari a quelle che si attivano nel cervello del soggetto che sta compiendo l'azione stessa (proprietà specchio).
I primi sono detti canonici, i secondi neuroni specchio, in entrambi i casi si tratta di neuroni con proprietà somatosensoriali, visive e motorie.
Da sottolineare è come, in casi come questi, a neuroni definiti motori vengano attribuite proprietà legate a dimensioni cognitive come la previsione o l'anticipazione di un intento, considerate da sempre proprietà superiori rispetto a quelle motorie.
A questo punto risulta chiaro come un tale paradigma, esposto e chiarito esaustivamente in tutte le sue parti da i nostri autori, abbia come conseguenza immediata l'indebolimento della diffusa idea, da tempo punto fermo della neurologia, secondo cui l'unitarietà funzionale del sistema motorio
corticale, in se privo di ogni valenza percettiva, rappresenti il vero e proprio punto d'arrivo dell'informazione sensoriale, già elaborata e proveniente dalle aree associative.
Ma se tutto il procedimento si riduce a una semplice traduzione di pensieri e sensazioni in movimento, come diceva Elwood Henneman, i quesiti che ne derivano sono: “come e dove avviene una simile traduzione? Quando cioè pensiero e percezione smettono di essere tali e diventano movimento?” .
Il testo conduce il lettore a prendere atto del fatto che negli ultimi anni si è cominciata a consolidare l'idea che il sistema motorio non è soltanto anatomicamente connesso alle aree responsabili dell'elaborazione sensoriale, rappresentandone unicamente il punto d'arrivo finalizzato al movimento vero e proprio, ma possiede molteplici funzioni, non meramente esecutive e strettamente
connesse in modo non gerarchico ma simultaneo con i sistemi sensoriali.
L'assunto che fa da presupposto a tutto questo, è che “il cervello che agisce è innanzitutto un cervello che comprende”. Infatti probabilmente noi comprendiamo un'azione ed il suo fine, proprio perché nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni che si attiverebbero se stessimo compiendo noi stessi quell'azione.
Non c'è nessuna partecipazione cosciente del soggetto in questo meccanismo, è qualcosa che ci precede e ci permette di comprendere e di conoscere immediatamente, in una dimensione prelinguistica, le intenzioni degli altri individui, rendendo così possibile una previsione del loro comportamento futuro.
Alcuni aspetti affascinanti quanto sorprendenti di questi neuroni vengono messi in evidenza da due esperimenti descritti nel testo; i quali ci mostrano come esista un meccanismo specchio anche per la modalità uditiva (primo esperimento), e come durante una stessa azione i meccanismi specchio possano attivarsi in un modo diverso, a seconda del gesto da compiere, dunque del fine da raggiungere: in questo caso portare il cibo alla bocca o portare il cibo in un contenitore (secondo
esperimento). Non sono ancora chiare tutte le conseguenze di una tale scoperta.
Si viene a delineare anche una strettissima relazione tra le azioni e il linguaggio; infatti l'Area di Broca, da sempre definita sede anatomica del linguaggio, è un area formata principalmente da cellule motorie.
Del resto credo che in fondo il dire sia pur sempre un fare.
Il volume si conclude con un capitolo sulla comprensione delle emozioni, affrontando così il tema dell'empatia.
Anche qui entrano in gioco i neuroni specchio, quelli della corteccia premotoria, che, consentendo di comprendere le espressioni del volto di un soggetto e quindi di interpretarne le emozioni, ci permettono di riviverle nel nostro sistema emotivo. È dimostrato che osservare un espressione di dolore attiva le stesse connessioni neurali che si attivano quando siamo noi stessi a provare quel dolore.
Concludo con un affermazione di Peter Brook situata nelle prime righe della premessa del testo: “con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze avevano cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre. [...] Il lavoro dell'attore sarebbe vano se egli non potesse condividere, [...] i suoni e i movimenti del proprio corpo con gli spettatori, rendendoli parte di un evento che loro stessi debbono contribuire a creare”.
Lorenzo Palizzolo
Questa non è pubblicità commerciale, ma una segnalazione ai nostri lettori nel rispetto del progetto editoriale Timeoutintensiva (N° 8 Dicembre 2008).
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