“Mi guardo attorno: sono dentro il mondo come in un amore immenso. Mi si gonfia il petto, sento di non poterci far niente. Il nodo alla gola mi scende e, se potesse mantenersi questo stato, si scioglierebbe certo in tutto il mio corpo. Oggettivando questa sensazione in un’immagine epica: sono un bambino nel corpo materno”.
Così scriveva il poeta ungherese Attila József del suo essere al mondo, e aggiungeva: “Solo che la faccenda si complica per il fatto che io non vivo nel dolce grembo della natura, ma nella società umana”.
Le distanze tra il poeta e il mondo possono essere prossime e infinite, tra essi si genera un ponte il cui pilastro portante, laddove viene stabilito, è la poesia stessa, che può rendere tali distanze visibili in parole. Così scriveva Paul Celan. Perché, anche quando lo sguardo del poeta sulle cose e sul mondo è solitario, contemplativo, nelle sue parole le immagini della realtà si proiettano oltre, in una dimensione temporale che tenta di delimitare uno spazio permanente di esistenza: un’immagine “epica” per József, una “minuscola stella” per Celan. è nel passaggio dalle immagini contemplate al linguaggio delle immagini la traccia di una distanza.
Georges Poulet ha dedicato la sua attività di ricerca in ambito letterario partendo dal considerare la pratica della scrittura come tentativo dell’uomo di possedere la realtà. Nei suoi studi critici, ha preso in esame alcuni autori della tradizione letteraria, francese e non, individuando il tempo e lo spazio come categorie fondamentali d’analisi critica delle poetiche. Fondamentale è la definizione di “distanza interiore”, come quella del poeta dalla realtà oggettiva, uno spazio non separatore ma unitivo. Dal concetto di distanza, Poulet arriva a individuare nella forma più precisa del cerchio lo spazio di figurazione simbolica della percezione del reale, nella quale l’uomo è al centro, e dalla quale il poeta, in modi diversi, restituisce con le sue immagini uno spazio di realtà. Ma l’uomo è allo stesso tempo centro dei suoi pensieri e cerchio, in quanto contiene l’infinito, scriveva il poeta Shelley, e così: “La poesia è allo stesso tempo centro e circonferenza della conoscenza”.
Osservando il mondo, dunque, dal centro dell’esperienza umana del poeta si aprono una o più periferie, lo sguardo sul reale si collega a quello interiore attraverso i fili della memoria, stabilendo uno spazio che è misura percettibile dell’istante nel quale riconosce in sé qualcosa che accade al di fuori. Nelle immagini poetiche che egli crea, emergono così, di volta in volta, alcuni segni puramente biografici.
“Le parole sono nelle storie che mi hai fatto vedere”, scrive Mario Benedetti, perché per il poeta vedere è già dire, egli identifica sé e il suo sguardo, attribuendo un’identità al proprio io attraverso la funzione mnemonica, come osserva Claudia Crocco.
A D.
"Penso a come dire questa fragilità che è guardarti,
/stare insieme a cose come bottoni o spille,
/come le tue dita, i tuoi capelli lunghi marrone.
/Ma d’aria siamo quasi, in tutte le stanze
/dove ci fermiamo davanti a noi un momento/
con la paura che ci ha assottigliati in un sorriso,/
dopo la paura in ogni mano, o braccio, passo,/
che ogni mano, o braccio, passo, non ci siano."
La realtà che Benedetti rappresenta nei suoi testi si riferisce a percezioni primarie, delle quali quella visiva è fondamentale per mostrarla: “Era perché non poteva restare niente di tutto questo/ che gli occhi facevano i matti”, Da lontano.
Ma la realtà non appare mai per intero, in questo senso è imperfetta, come anche l’occhio di chi osserva, contaminato dalle immagini della memoria. E così, l’evidenza del reale non è mai ammessa direttamente allo sguardo del poeta nel tempo in cui si manifesta. Il poeta appartiene alle sue immagini e in qualche modo gli sono pure estranee: “Io che sono delle cose negli occhi,/ ma non so come sono quando le guardo", Ultimi mondi, 3.
In una visione propria del mondo, si attivano e mescolano figurazioni, fino anche a sconfinare nel sogno: “E si può andare dalla finestra, dall’aria della finestra semiaperta fuori/ sull’occhio che butta resina. Sembra con due sogni./ In uno è un’altra la nostra vita”, Unico sogno.
La finestra è ricorrente in poesia, è tramite tra lo sguardo e il mondo, come in di Mallarmé, per il quale l’oggetto-finestra, presente in testi diversi, è simbolo di un passaggio dall’interno all’esterno, una connessione da dentro a fuori, la possibilità del circoscritto di espandersi verso l’infinito.
[…]
Io fuggo e mi attacco a tutte le vetrate
dove si volge il dorso alla vita e al destino,
e nel vetro, lavato dall’eterne rugiade,
che l’infinito indora col suo casto mattino,
mi contemplo e mi vedo Angelo!
(da: Le finestre)
Anche Umberto Saba è poeta dello sguardo, nelle sue liriche la finestra è quasi metafora dell’atto poetico stesso:
“Io guardo il vero, e calco/ qual è la dolce vita,/ con qualche cosa ancora/ che dice: guarda e adora;/ guarda se il mondo è bello,/ se il tuo dolor non vale” (da: L’incisore).
E mentre Mallarmè “alla finestra” stabilisce una distanza tra il reale e l’assoluto, Saba fissa un legame con il quotidiano, persone oggetti luoghi fatti, fino a soffrire il dolce e vano desiderio di essere come tutti gli uomini di tutti i giorni.
Il desiderio d’immettere la sua vita nella calda vita di tutti, è vano perché il poeta scopre di poter solo guardare e ascoltare. Guardare fuori dalla finestra mette in luce le incoerenze proprie del suo animo, dentro se stesso Saba comprende di non essere capace di perdersi nel divenire quotidiano.
Io siedo alla finestra, e guardo.
Guardo e ascolto; però che in questo è tutta
la mia forza: guardare e ascoltare.
(da: Meditazione)
E, ancora, in Rilke, la finestra è uno spazio proiettivo, di apertura al mondo, ma anche un momento di allontanamento e d’introspezione interiore: “Non sei forse tu, finestra, la nostra geometria, forma così semplice che senza sforzo circoscrivi la nostra vita immensa?”.
Rilke era attratto dalle finestre, convinto che dessero forma alle idee sul mondo: delimitando piccole porzioni di realtà, offrono una visione chiara, e altrimenti irraggiungibile, nella vastità della vita.
Finestra, tu, misura dell’attesa,
tante volte colmata,
quando una vita con impazienza è tesa
verso una vita amata.
Tu che separi e attrai,
cangiante come il mare, -
d’un tratto specchio che ritrai
il nostro viso con tutto quanto appare;
esempio di libertà insicura
nell’impatto con la sorte,
forma che dai misura
all’esterno troppo forte.
Rilke è alla ricerca di uno sguardo nuovo che possa superare l’apparenza e la labilità delle cose per riuscire a mutare ciò che si rende visibile e tangibile in una percezione interiore, per una profonda comprensione dell’essenza delle cose che diventi parola.
La finestra, come opportunità di trascrivere visivamente il reale, è frutto di una consolidata speculazione artistica, un oggetto non solamente funzionale ed estetico, ma carico di numerose valenze simboliche. La finestra è una soglia tra dentro e fuori, lo sguardo interiore che interagisce con la società umana, attraverso regole prospettiche che possono variare. Emblematico, a questo proposito, è La condizione umana di Magritte, una serie di dipinti con la singolarità visiva di un paesaggio che diventa tutt'uno con la finestra. L’artista lascia all’immagine il compito di leggere tra i pensieri, anzi, di tradurre i pensieri in immagini. Perché “è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi”.
Negli ultimi anni della sua esistenza, Max Picard lavorava a una monografia sull’immagine (Das Bild). Nelle sue riflessioni, il passaggio dalle immagini contemplate al linguaggio delle immagini accade spontaneo e naturale, come se l’immagine si prolungasse da sé nel linguaggio attraverso la scrittura figurata, quella del poeta.
“Le cose si presentano sempre cosi davanti all’uomo, nella loro parte visibile, che è solo una parte della cosa, perché alla cosa appartiene anche una parte invisibile e la parte visibile non è nient’altro che la continuazione, la continuazione manifesta dell’invisibile. Ci si pone allora il quesito di come si possa pretendere che una cosa sia oggettivamente rappresentata in parole quando si è riconosciuta di essa soltanto la parte visibile. Solo connessa con l’invisibile una cosa è proporzionata nel visibile. Staccata dall’invisibile, abbandonata totalmente alla visibilità, la cosa scoppia di chiarezza, diventa sproporzionata […]
L’uomo non acquisisce presenza aggrappandosi all’istante che scorre nel tempo. Presenza è essere un attimo di eternità. Ecco che lo sguardo del poeta si ferma e abita in quella cesura che si apre nel fluire del tempo – conferendo presenza. Questa immediatezza di sguardo è una grazia, non è dato impararla”.
Ogni poeta ama guardare, è interessato alle cose quotidiane. In esse riconosce momenti che sconfinano l’ordinario, e il suo interesse sta proprio nel rapporto tra qualcosa di comune e ciò che di esso può rivelarsi al contempo straordinario. E quando l’occhio del poeta s’immerge nella visione e lo sguardo diviene contemplazione, in qualche modo, egli assiste a una rivelazione.
“Lo sai bene: non ti riesce qualcosa, sei stanco e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano – ed è come se ti fossi accostato a un divino nascosto. E tutto diventa improvvisamente più semplice”.
Così parla un personaggio del film Andrej Rublev: un momento inatteso e rivelatore è segnale di un atto di fiducia dell’uomo, che nel mondo è pronto a cogliere attimi di verità svelate. Del resto, tutto il cinema di Andrej Tarkovskij, dalla iconografia potentissima, è vicino alle tematiche della poesia del padre, il grande poeta russo Arsenij Tarkovskij. Entrambi affidano al cinema e alla poesia il potere di mostrare ciò che non appare e, attraverso i linguaggi specifici dell’immagine e della parola, provano a rivelare ciò che altrimenti sarebbe ignorato o perduto. La parola, così come l’immagine, diventa un sistema complesso di fenomeni, la cui presentazione è in grado di attivare la memoria su qualcosa di strettamente intimo che conserviamo in noi, e che ci appare improvvisamente in tutta la sua chiarezza. Come incontrare una persona cara che non vediamo da tempo, ritrovandone intero il ricordo, o come l’accendersi postumo di una parola, il cui significato ci appare evidente solo in seguito.
Nella poesia di Tarkovskij, sempre pacata, dai contorni sfumati, la natura è la rappresentazione dei sentimenti, epifania di verità, e anche riferimento di frammenti di vita intima minuscoli, quasi impercettibili, perché dello scorrere del tempo restano solo tenui tracce, dove si condensano ricordi.
"In me vive la profonda inquietudine
/delle chiome di legno, che non dormono di notte,/
io, come i versi, predico la peculiarità/
conferite alle persone e alle cose.
Per il fatto che respiravo, come respira la parola,/
io ero l’eco tra gli alunni,
/ero la risonanza della voce altrui,/
smarrita nel coro delle voci."
(da: Dedica)
Nel testo La forma dell’anima, Andrej Tarkovskij racconta della sua ricerca nel cinema, a partire dal concetto di immagine. Per il regista russo, nonostante gli uomini non riescano a percepire l’universo nella sua totalità, l’immagine è in grado di esprimerla, essa è solo una goccia d’acqua che però riflette il mondo intero. Pertanto, non rappresenta la vita ma più semplicemente la esprime; l’immagine è qualcosa di indivisibile e inafferrabile che dipende dalla coscienza dell’uomo e dal mondo che tenta di incarnare. Mostra dunque la realtà laddove è pienezza totale dell’essere, integrità di tempo e spazio. Ritornano, in tal modo, alcuni degli elementi fondamentali della poesia del padre. Lo stesso regista scrive che esempi di poesia sull’immagine, quali gli haiku giapponesi, siano molto vicini alla verità sul cinema: un’osservazione non mediata della vita, che non va interpretata, lo sguardo si posa sul tempo dell’immagine. E, come scrive ancora Tarkovskij, l’immagine artistica è un fenomeno unico e irripetibile, anche quando il fenomeno osservato nella realtà può apparire del tutto banale.
Ancora una volta
qualcuno mi oltrepassa –
sera d’autunno.
(K. Issa)
La poetica di Adam Zagajevski esprime con autenticità il vissuto e resta fedele alla realtà, utilizzando forme visive concrete che allo stesso tempo rimandano a un altrove. L’esperienza dell’emigrazione ha segnato profondamente la visione del mondo del poeta polacco, si avverte spesso nei suoi versi uno sguardo che osserva ma non va in fondo alle cose, come se ogni cosa fosse gli estranea e il poeta stesso uno straniero ovunque. Nei versi di Zagajevski, ogni cosa sembra stare in un equilibrio precario, ma ciò che traspare dietro la materia inconsistente ha una forte valenza salvifica, consolatoria: dietro il dolore, la caducità dell’uomo, la sua crudeltà, si può ricomporre l’immagine intera di un mondo a pezzi, perché ognuno tiene in mano/ un pugno di infinito.
Un’alterità che diventa possibilità conoscitiva. Solo attraverso l’altro riconosciamo pezzi della nostra essenza. Per questo, il poeta parla di cose, di luoghi, frammenti di vita, nei quali riusciamo a distinguere qualcosa di noi. Analogamente, osservando ciò che ci sta intorno, possiamo avere una percezione più netta di ciò che sta oltre l’apparenza, una conoscenza più acuta dell’esistente. E comprendere le ragioni ultime del reale:
“La difesa della poesia è la difesa di qualcosa che è radicato nell’uomo: la capacità fondamentale di esperire l’incanto del mondo, scoprire la divinità nel cosmo e nel prossimo, nella lucertola e nelle foglie di castagno, di meravigliarsi e fermarsi di colpo per un lungo attimo in questa meraviglia”.
Solo nella bellezza altrui
vi è consolazione, nella musica
altrui e in versi stranieri.
Solo negli altri vi è salvezza,
anche se la solitudine avesse sapore
d’oppio. Non sono un inferno gli altri,
a guardarli il mattino, quando
la fronte è pulita, lavata dai sogni.
Per questo a lungo penso quale
parola usare: se lui o tu.
Ogni lui tradisce un tu, ma
in cambio nella poesia di un altro
è in fedele attesa un dialogo pacato.
(Nella bellezza altrui, A. Zagajewski)
Testi citati e consultati
Benedetti M., Umana Gloria, Mondadori, Milano 2004 e su http://www.leparoleelecose.it/; http://lindiceonline.com/index.php?option=com_content&view=article&id=271&Itemid=1
Bigongiari P., L’evento immobile; Jaca Book, Milano 1985
Celan P., Microliti, Zandonai, Rovereto, 2010
József A., La coscienza del poeta, Lucarini, Roma 1988
Mallarmé S., Poesie, Feltrinelli, Milano 1991
Picard M., (a cura di J. L. Egger), Il rilievo delle cose, Edizioni Servitium, Bergamo 2004
Poulet G., Le metamorfosi del cerchio, Rizzoli, Milano 1971
Rilke R. M., Poesie, Einaudi, Torino 1995
Saba U., Il canzoniere, Einaudi, Torino 2010
Shelley P. B. (a cura di A. Mazzola), Difesa della poesia, Rusconi, Milano 1999
Tarkovskij Andrej, La forma dell’anima, BUR, Milano 2014
Tarkovskij Arsenij. (a cura di D. De Bartolomeo), Poesie scelte, Scettro del Re, Roma 1992 e su http://lombradelleparole.wordpress.com/2014/04/05/arsenij-tarkovskij-poesie-inedite-traduzione-di-donata-de-bartolomeo/
Zagajevski A., Dalla vita degli oggetti, Adelphi, Milano 2012
http://classconnection.s3.amazonaws.com/129/flashcards/402129/png/magritte_the_human_condition_19331307908498861.png
Immagini dell'articolo ed immagini consultate:
Nell' Articolo: Un'immagine di Tina Modotti
Consultate: http://classconnection.s3.amazonaws.com/129/flashcards/402129/png/magritte_the_human_condition_19331307908498861.png
SIAARTI – Dr. Maurizio Menarini – Prof. Flavia Petrini – D.ssa Elena Bigi – Dr. Paolo Donato – Dr. Alessandro di Filippo per il GdS Vie aeree difficili e per il GdS Emergenze
PAMIA – Dr. Giulio Giovanni Desiderio – CPSI Enrico Benedetto – Dr. Simone Baroncini
9 Ottobre 2010 Prot. n. 143 SIAARTI 2009/2012
Caltabellotta A., Descovich C.
Evidence 2013; 5 (10): e1000063
Ringraziamenti
Sul Blog i Contenuti del Numero 27
Un Nostro Grazie a:
In Focus:
-Guido Bertolini
-Marco Geddes di Filicaia
In Racconti a Margine:
-Giramondo
In Out of Border:
-Emilia Maggiordomo
e Laura Costa
In Student Corner:
-Caltabellotta A.
-Descovich C.
In Techne’
G. Vetrano
G. Lazzaro
S. Matranga
In Graffiti:
-Rute batista
In Nurse Science:
Giancarlo Cappello, Sandy Giammona,
Rosario Lombardo, Filippo Marchese,
Egman Sabrina, Maria Ziino Colanino;
ISMETT Palermo Nurses Educator
E ancora...
Ai Nostri Infaticabili:
-Ugo Sottile per la Musica,
-Andrea Cracchiolo e
Daniela Palma
per Student Corner
-Emilia Maggiordomo
e Laura Costa
per la Sezione Dedicata
alla Poesia
di cui sono le Curatrici
-i Nurses Educator Ismett
di Palermo
per la rubrica
Nurse Science,
da loro curata.
-Ad Antonio Corrado
per la sua vignetta.
Fonti N.°26, DICEMBRE 2013
Si ringraziano altresì:
-Un Sentito Grazie
al Board della SIAARTI
-Ricerca & Pratica
-Il Pensiero Scientifico Editore
-IL Giornale Italiano di Medicina
del Lavoro Ergonomia PI-ME
Pavia
ISSN 1592-7830
http://gimle.fsm.it
-Intensive Care Med 2004
Ed. Italiana
-Biomed Central Open Acces
http://www.biomedcentral.com/
-Evidence
www.evidence.it
Nottidiguardia.it