Vai in archivio al
 

Out of border

In questo Sito che parla spesso di sofferenza, di dolore, di morte e malattia, di come alleviarla e prendersene cura, Out of Border rappresenta un guardare oltre il confine, e per un attimo, attraverso una fotografia, poche righe, favole, musica, racconti, un video o una poesia, vivere un momento di gioia, di riflessione, di interesse...

“Su Terre Senza Memoria Ogni Piede Ha La Sua Scarpa.” La Poesia Come Viaggio Nel Tempo E Nella Memoria.

23 Febbraio 2012  

Autore: di Emilia Maggiordomo e Laura Costa Video: Guarda il video Allegato: Scarica Allegato

La poesia possiede un senso di verticalità, d’inabissamento interiore che ha  in sé la prerogativa dell’immediatezza, nel subitaneo riconoscimento di quei frammenti che un lettore può sentire come propri e che il poeta aveva portato alla luce dal suo abisso, fidandosi delle parole o affidandosi a esse. Come nel porto sepolto di Ungaretti, dove quel nulla d’inesauribile segreto costituisce proprio la metafora dello scavo della parola che rivela il mistero celato nell’uomo, mistero che si manifesta però solo per piccoli frammenti, appunto un nulla in quel grande mare profondo che resterà indecifrabile:

Vi arriva il poeta/E poi torna alla luce con i suoi canti/E li disperde/Di questa poesia/Mi resta/Quel nulla/Di inesauribile segreto.

Cardini della poetica di Ungaretti sono innocenza e memoria, contrapposte ma complementari: infatti, se la memoria, “profondità dell’uomo”, è segno del tempo che uccide l’innocenza, proprio attraverso la memoria è possibile recuperare quell’innocenza antica e perduta. Già Leopardi si era riferito all’antico come luogo d’elezione dell’innocenza del mondo e prima ancora lo stesso aveva fatto Petrarca, ma la ricerca ungarettiana si concentrerà fortemente sul linguaggio e sarà orientata a restituire, attraverso l’essenzialità del verso e della parola stessa, una poesia pura, cioè fuori dal tempo e innocente. Alla diade si aggiungerà l’oblio, come terzo elemento essenziale per un ritorno all’innocenza primitiva della parola spogliata d’ogni artificio, di ogni matrice culturale, che pure è segno del tempo.

Anche Eugenio Montale, in un’intervista, si era espresso circa la verticalità della poesia, rispetto all’orizzontalità del linguaggio della prosa. La poesia, diceva, è un linguaggio apparentemente di tutti che nasconde in sé qualcos’altro. Come se le parole avessero al loro interno un giacimento di senso, una memoria propria. E aggiungeva che la poesia non può che essere breve: perché sia vera e riconoscibile, un’emozione non può avere lunga durata.

La poesia è dunque, verticale e breve. La profondità e l’immediatezza sono allora elementi peculiari della parola in poesia e entrambe sono legate al concetto di tempo. La dimensione temporale esiste nella profondità della discesa, nell’immersione dentro di sé che spazia nel tempo del ricordo, e nell’immediatezza dell’istante nel quale cogliere anche solo intuitivamente frammenti di verità. Scriveva Ungaretti:

“Le parole hanno due sole vie per toccarci l’anima, si colmano dei nostri ricordi, e ci avvolge la loro infinita malinconia, o ci svelano fatte subitamente nuove, la meraviglia celeste delle cose, lo spavento della bellezza”.

Perché quando ciò accade è grande l’emozione di chi legge, che partecipa con un sentire che passa per il cuore senza mediazioni (ecco, anche questa è una proprietà dell’immediatezza della parola). Quasi una disposizione d’animo, quella di chi accoglie in sé immagini poetiche e le fa risuonare, come fosse cassa armonica di quelle parole. O meglio, una disposizione propria della coscienza, secondo ciò che Gaston Bachelard, grande filosofo dell’immaginario poetico, definì retentissement, distinguendole da ciò che può dirsi solo una risonanza. Poiché la risonanza delle parole poetiche pesca all’interno delle esperienze personali, il retentissement attiene invece a quella capacità di andare oltre se stessi, oltre l’immagine poetica, continuando a farla vivere in noi, creando anche da un solo dettaglio, “oggetti stranieri con materiali familiari”. Sembra che per brevi attimi sia possibile ricordare anche ciò che non abbiamo ancora vissuto, come se attingessimo direttamente a una memoria primitiva in un viaggio senza tempo, un’archeologia del ricordo che scava, ricerca, si muove in noi, e crea. Dice ancora Bachelard:

 “Le grandi immagini sono sempre allo stesso tempo ricordo e leggenda. (…) Bisogna spingersi fino alle profondità dei sogni, al di là dei ricordi, in una pre-memoria. (…) Ogni memoria deve essere reimmaginata: nella memoria noi conserviamo microfilms che non possono essere letti se non ricevono la luce viva dell’immaginazione. (…) L’immagine che la lettura del poema ci offre, eccola diventata veramente nostra: essa si radica in noi stessi, e, sebbene noi non abbiamo fatto altro che accoglierla, nasciamo all’impressione che avremmo potuto crearla noi, che avremmo dovuto crearla noi”.

E così, non occorre aver vissuto in prima persona le esperienze di un poeta e tuttavia è possibile riconoscerle nelle sue parole proprio come se fossimo noi stessi vivi dentro le sue immagini, che fondendosi con la nostra coscienza ci conducono fino a qualcosa di nostro e di nuovo, un viaggio che ci emoziona intensamente. In fondo, l’etimologia della parola “ricordare” designa proprio il passaggio della memoria attraverso il cuore, letteralmente è riportare al cuore, così come imparare a memoria in lingua francese si dice proprio apprendre par coeur. Perché impegnare il cuore nel ricordare? Forse perché, come scriveva Paul Ricoeur:

“Ricordarsi, non significa soltanto accogliere, ricevere un’immagine dal passato, ma anche cercarla, “fare” qualche cosa. Il verbo “ricordarsi” doppia il sostantivo “ricordo”. Questo verbo designa il fatto che la memoria è “esercitata”.

Esercitare la memoria significa fare, impegnarsi in una ricerca continua che strappi all’oblio; spesso, infatti, il tempo è visto come principio di deterioramento e di distruzione. Ricordare è quindi anche compiere un’operazione di salvataggio, dei volti, dei luoghi, delle cose a noi care perché non si perdano nella nebbia della memoria, perché non siano recise definitivamente dalla forbice del tempo, come scriveva Montale. Si può anche immaginare che la memoria di un uomo sia nel suo contrario, che sia cioè lo spazio immenso dell’oblio, un mare sconfinato dove si perdono le cose. Uno spazio nel quale sembra che i ricordi si nascondano accuratamente, come in un gioco di bambini, come in un incubo a volte e, per combinazioni infinite, da questo luogo di cose smarrite emergono continuamente elementi, per capriccio, per necessità, o per caso. Nel mare della dimenticanza è prerogativa dell’assenza rivelarsi appena, come un segreto conosciuto che si rende evidente all’occhio e al cuore solo quando diventa ricordo, essenzialità nella mente.
E quali sono gli elementi che riportano in evidenza i ricordi? Il tempo gioca sempre in questo nascondimento ma non è certo determinante, accade, infatti, di avere memoria di cose antiche e sembriamo aver perso quella memoria che si definisce a breve termine, o ancora possiamo non ricordare affatto cose che sembrano importanti e al contrario siamo padroni di ricordi inutili.

(…) - la caratteristica del tempo è una misurata indifferenza, / tutto interessa un poco per brevissimo tempo, / ogni cosa muore, deperisce, sé consuma e sfoltisce / nel forno della memoria.
(da: Le descrizioni in atto; R. Roversi)


Se è vero che caratteristica del tempo è l’indifferenza, allora si potrebbe dire che forse un elemento che può essere determinante, nella reminiscenza o al contrario nella dimenticanza, sia l’interesse. Non si tratta però di un interesse in termini strettamente utilitaristici, ma guardando ancora una volta all’etimologia della parola, si potrebbe riflettere sul fatto che importare, nel senso specifico di portare dentro, è proprio partecipare, essere in mezzo, dentro. Ecco, noi ricordiamo ciò che ci importa perché, per qualche chiara o arcana ragione, la cosa ricordata sta ancora in mezzo, dentro di noi (forse proprio nel nostro centro, nel cuore) e noi ne siamo ancora partecipi.
Ogni volta che leggiamo una poesia, possiamo a tratti compartecipare come se quella cosa evocata dalle parole sia presente in noi, come fossimo noi una piazza aperta, un agone e la cosa ricordata l’essenza che al centro vi combatte ancora. Qualcosa di attivo è in noi e ce ne accorgiamo quando lo riconosciamo come una parte vivente. Scriveva Gottfried Benn: "In ogni ora/in ogni parola/continua sanguina/la ferita della creazione".
La poesia è impegno e scrivere è anche fatica, mettere l’anima a nudo, scorticarne la pelle, cercare dentro di sé. Gettare lo sguardo nell’abisso, intraprendere un viaggio alla ricerca del tempo perduto e non aver paura di rivelare attraverso la parola il segreto, venire al mondo ogni volta e rinascere, secondo quell’anima partoriente che Alda Merini riconosceva alla poesia. Perché la parola è sempre un’origine e anche un divenire e sebbene viva e si nutra dell’inquietudine del presente, essa è sempre piena di ragioni antiche che vanno ricercate. Per questo motivo nei versi di Benn la ferita della creazione sanguina, perché la parola è viva e il sangue è frutto del processo di scavo continuo, in sé, nella memoria, fino al ritrovamento e all’estrazione del ricordo, immagine che mette in moto tutta l’attività linguistica. E crea poesia. Scriveva Rilke:

"E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso”.

Occorre, dunque, che i ricordi prendano corpo, che siano parte di noi, sangue appunto, gesto o sguardo. Come in Convegno di Antonia Pozzi:

Nell’aria della stanza/non te/guardo/ma già il ricordo del tuo viso/come mi nascerà/nel vuoto/ed i tuoi occhi/come si fermarono/ora – in lontani istanti – / sul mio volto.

La memoria è strettamente legata alla percezione visiva, perché guardare non è solamente vedere ma anche immaginare, gli occhi sono uno strumento privilegiato di conoscenza ma anche una straordinaria riserva naturale di ricordi. Dal presente, lo sguardo precipita in immagini passate, ed è subito ricordo. Il precipitare nell’abisso della memoria è l’immagine che prevale in questo testo così misterioso, che già nel titolo contiene una promessa d’incontro, di qualcosa che avverrà. In esso c’è un continuo rimbalzare da un tempo a un altro, in una fuga che però è portatrice di malinconia: il ricordo tenta di colmare un’assenza. Non sempre, infatti, la memoria è consolatoria, spesso il recupero memoriale è doloroso, specie quando è legato all’aspetto psicologico del tempo, vissuto e percepito attraverso la coscienza: si espande, si addensa, cancella, si muove secondo i suoi ritmi. Esistono ricordi che allontanano la tristezza, altri che la rendono ancora viva e presente. In una delle ultime interviste ad Andrea Zanzotto, il poeta ricorda periodi dolorosi della sua vita, ma la memoria riporta alla mente anche momenti “sopportabili”. E la poesia, qualcosa di intimamente attivo, risente inevitabilmente degli eventi vissuti. (Vedi Nota 1)

La memoria, che si sposta costantemente in senso diacronico, è un “rigattiere di ricordi” nel quale recuperare avvenimenti passati rinnovandoli nel presente. Solo in questo modo, rielaborando ogni volta le esperienze dolorose, re-immaginandole al poeta è concesso di entrare in uno spazio innovatore, suggestionando l’anima a una pacificazione. Nella poesia Alla luna di Leopardi il ricordo riesce persino a stabilire una continuità positiva fra passato e presente, non modifica ancora il ricordo ma permette di esercitare l'immaginazione, rendendo possibile una riconciliazione:

(…) che travagliosa/era mia vita: ed è, né cangia stile,/o mia diletta luna. E pur mi giova/la ricordanza, e il noverar l'etate/del mio dolore (…).

E nello Zibaldone, il poeta scrive in proposito: “È pure un bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accadde il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato ec. e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci l’idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna (…)”.


E pur mi giova la ricordanza: perché c’è anche il bisogno di ricordare.

Per il poeta Kavafis, per esempio, ricordare oltre che una necessità era quasi un’ossessione, in quanto atto rivivificante di esperienze felici. La memoria non si rassegna alla transitorietà, tutto trascorre ma rimangono i ricordi, e chi accetta di rivivere nella rievocazione ciò che è trascorso, lasciandosi incantare nonostante il rimpianto, può vivere anche momenti d’inatteso appagamento. E così, il poeta invita al ricordo, immaginando, persino credendo di ricordare ciò che non è accaduto:


Corpo, ricorda, e non solo quanto fosti amato,/non soltanto i letti in cui giacesti,/ma anche quei desideri che per te/brillavano chiari negli occhi,/e tremavano nella voce – e qualche/casuale ostacolo li rese vani./Ora che tutto ormai appartiene al passato,
sembra quasi che a quei desideri/tu ti sia concesso – come brillavano,/ricorda, negli occhi che ti guardavano:/come tremavano nella voce, per te, ricorda, corpo.
(Ricorda corpo…)

Non si tratta certo di ricordi inventati, non si tratta di modificare gli eventi accaduti, si tratta di cogliere gli echi del passato che non smettono mai di estendersi, spesso un conforto per l’anima. Perché accade anche che la mente non riesca più a ricordare e quando non ricorda soffre, compie viaggi senza meta in un tempo sospeso, si perde in una dimensione temporale senza più punti di  riferimento, priva di collegamenti, di spazi di accoglienza, senza relazioni. E senza più identità. Il poeta Alberto Bertoni dedica una scrittura poetica di memorie al padre affetto dal morbo di Alzheimer, procedendo, in piccoli scorci di quotidianità, alla ricostruzione di una storia privata come sostegno agli eventi che tuttavia precipiteranno inevitabilmente. Spesso con grande semplicità, quella semplicità propria degli affetti più intimi, nel tentativo di innescare connessioni che la memoria crea anche accidentalmente: “Lo sai, papà, si sta/tranquillamente in giacca e maglia/nonostante febbraio”.
La memoria procede dunque nel tempo in senso diacronico, può andare indietro nel passato ma allo stesso modo dal presente riesce a proiettare immagini nel futuro, come già nella poesia di Antonia Pozzi, dove l’immagine a venire, il ricordo che nascerà, rimanda prima al futuro, poi ancora una volta al presente di un passato, ora – in lontani istanti. E quando presente e passato s’incontrano, riunendosi possono annullare ogni distanza temporale, dando unità e significato all’esistenza, in un vicino futuro. Come in questa poesia di Giorgio Vigolo:

COME D’UN GIORNO SOLO

Siedo ancora nel portico ricurvo/nella sera di luglio/alla brezza delle fontane./La luna nuova scende nell’azzurro/ma la piazza già bruna/in ombre di viola aduna il lago/a specchio di ricordi/remotissimi, ormai perduti fino/allo stupore misto di spavento/che provai quasi infante/sotto quegli archi immensi.

E ciò che allora balenò al tremore/confuso dei miei sensi/non ancora dischiusi, quel bagliore/di ceri, il lampo d’oro/di quelle volte intorno a me sfuggenti,/credo vederlo ancora

e di fare a ritroso/il cammino dei tanti anni trascorsi,/di illuminare il buio/della memoria e d’afferrare il senso/della mia vita prossima a varcare,/come d’un giorno solo.

“Poesia è reintegrazione, riconciliazione, abbraccio che serra in unità l’essere umano con il sogno da cui proviene, cancellando le distanze”, scrive Maria Zambrano. E forse proprio a questo ricongiungimento si riferisce anche Joe Bousquet quando scrive: “Su terre senza memoria ogni piede ha la sua scarpa”.


Note:

1:http://www.corriere.it/cultura/11_marzo_28/zanzotto_distefano_3c6e17a0-590d-11e0-bc5a-84b93b4dfe5d.shtml



Testi consultati e citati
    •    Bachelard G., Poetica della rêverie, Dedalo, Bari 1962
    •    Bachelard G., Poetica dello spazio, Dedalo, Bari 1975
    •    Benn G., Flutto ebbro, Guanda, Parma 1989
    •    Bertoni A., Ricordi di Alzheimer, Book Editore, Ferrara 2007
    •    Bousqet J., La conoscenza della sera, trad. di A. Marchetti; Panozzo, Rimini 1998
   •   Di Prima A., Note di lettura di Ricordi di Alzheimer di A. Bertoni, su                     http://cartescoperterecensionietesti.blogspot.it/2008_11_03_archive.html
    •    Dolfi A., Giuseppe Ungaretti: innocenza e memoria della poesia moderna, in "Quadernos de filologia", 1995, su http://www.dit.unifi.it/CMpro-v-p-75.html
    •    Kavafis C., Poesie d’amore e della memoria, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2006
    •    Leopardi G., Tutte le poesie, tutte le prose e lo Zibaldone, Newton Compton, Roma 2010
    •    Montale E., Tutte le poesie, Mondadori, Milano 2005
    •    Pozzi A., Poesia che mi guardi, a cura di G. Bernabò e O. Dino, Luca Sossella Editore, Bologna 2010
    •    Ricoeur P., La memoria, la storia, l’oblio, Raffaello Cortina, Milano 2003
    •    Rilke R. M., I quaderni di Malte Laurids Brigge, Garzanti, Milano 2007
    •    Roversi R., su: http://www.poesia.it/servizi/ROVERSI.pdf
    •    Ungaretti G., Vita d’un uomo, Mondadori, Milano 2000
    •    Vigolo G., I fantasmi di pietra, Mondadori, Milano 1977
    •    Zambrano M., Filosofia e poesia, Edizioni Pendragon, Bologna 2010


 

 

Ultima Modifica: 28 Marzo 2012

Leggi anche :
 



Sezioni


Newsletter

  • Nome
  • Cognome
  • Email
  • Autorizzo il trattamento dei miei dati secondo D. lgs. 196/03

Le vignette di TimeOutIntensiva

Noi aderiamo ai principi HONcode.verify here.
FOTO E MESSAGGI
inviati dai nostri lettori
manda una cartolina a un amico
con i quadri di "Daro" Diana
Fonti & Ringraziamenti

Un Nostro Grazie a: 


In Copertina:

Alla Prof.ssa Virginia Romano
ed all’Università “Kore” di Enna
Per l’Articolo “Etnografia in Emergenza:                                                                                  Pratiche di Traduzione di un Artefatto"        

In Focus:

A Gabriella Cinà Per “Arteterapia
nell’Ambito dei Trapianti d’organo”

In Racconti a Margine:

A Pentothal per il racconto

“La Quarta Dimensione Esiste”

In Out of Border:

A Emilia Maggiordomo e 
Laura Costa

per la Sezione Dedicata
 alla Poesia di

cui sono le Curatrici

In Graffiti:

A Claudio Battista che ci ha                                                                                                permesso di allestire una mostra                                                                                               delle sue Fotografie

Ai nostri infaticabili

Ugo Sottile 
per la Musica,

Andrea Cracchiolo 
e Daniela Palma

per Student Corner e ad i

Nurse Educator

dell’ Ismett di Palermo per la rubrica

Nurse Science,

da loro curata.

E Ad Antonio Corrado per la sua

vignetta.

 

Fonti Numero 20, Marzo 2012:

Si ringraziano altresì:

Il Ministero della Salute
e

L’ISS

Il Centro Nazionale Trapianti

La SIAARTI

http://www.siaarti.it/

 

IL Giornale Italiano di Medicina

del Lavoro ed Ergonomia 
PI-ME,

Pavia ISSN 1592-7830

http://gimle.fsm.it

 

Le Infezioni in Medicina

www.infezmed.it/
MenuIniziale.aspx

 

Intensive Care 
Edizione Italiana
 

 

Biomed Central Open Acces

http://www.biomedcentral.com/



 
Aggiornato al: 28 Marzo 2012



Link Consigliati