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Racconti a margine

Porte Aperte

16/12/2014  
di Psycapolide

Un botto cupo, poi uno schianto, rumore di vetri rotti, ante che sbattono violentemente contro i muri, vibrazioni di qualcosa caduto e poi rotolato d'improvviso sul pavimento con un clangore metallico... il tutto in un attimo, squarciando il chiacchiericcio sommesso dei pazienti in attesa. Poi urla, sbattere di mani e pugni alle porte del grande corridoio, una dopo l'altra: "Fannulloni! Non volete fare niente, cornuti! ma ora con mio figlio dovete lavorare !" In piedi in fondo al corridoio vedo un uomo alto a petto nudo, un gilè di cotone blu aperto e troppo lungo per lui, pantaloni arancione strappati ai bordi, a piedi nudi, che batte una dopo l'altra sulle porte delle sale visita e urla. Gli vado incontro, mi vede, mi indica, lontano: "E tu sei il più cornuto di tutti!"; continuo ad andargli incontro con calma, il pericolo mi rallenta, sempre, cercherò di calmarlo può far male alle persone intorno penso spaventato, la gente non sa dove mettersi, impaurita si appoggia contro le pareti del corridoi quasi a farsi muro. Lo guardo ora in viso, calmissimo, siamo vicini solo qualche metro, ha un'espressione adirata, poi un guizzo negli occhi, d'improvviso mi spinge incontro un bambino, dandogli con le mani uno spintone alla schiena, mettendolo fra noi, ma facendolo cadere in ginocchio e gridandomi "Cucilo!"; poi si gira e dopo uno slalom veloce tra i parenti in piedi, superata la porta che aveva sfondato ed i vetri maniglie e tubi per terra, scompare. Mi inginocchio, aiuto il bambino, forse 7 o 8 anni, piegato per terra. Sulla fronte una piccolissima ferita proprio all'attaccatura dei capelli. Un occhiello. Lo guardo cercando di trasmettergli un che di rassicurante, gli chiedo "Tutto a posto? Ti sei fatto male?". Mi dice "No, tutto a posto" battendosi i vestiti per pulirli dalla caduta come un adulto. Guardo la ferita "E come ti sei tagliato ?" "Giocando a pallone… La porta... Ho sbattuto contro il palo… Non mi fa male…" Mi guarda serissimo, non dice più nulla, e' la' in piedi vestito di poveri abiti, pantaloni lunghi lisi, maglietta a righe scolorita e con le infradito gialle ai piedi, capelli e occhi nerissimi, uno sguardo serio, seccato, quasi severo, da vecchio più che da bambino . "Come ti chiami!?!" gli dico "Giuseppe M. nato il 7 Marzo del 2007 all'ospedale vecchio." Recita con voce cadenzata, come se gli avessero insegnato a ripetere solo quello anche sotto tortura. Non sorride, mi guarda serio serio con le braccia lungo i fianchi... Gli prendo la mano me la toglie, gli dico: "Vieni con me dobbiamo registrarti... ma quel signore era tuo padre?" "Si"."Ho capito, vieni, seguimi."
Lo porto a registrarsi per poi suturarlo, la porta è completamente sfasciata, divelta a calci, forse si dovrà cambiare. Cammino su frammenti di vetro cercando di evitarli, mi giro a guardarlo, il bimbo segue il mio percorso. Fuori poche persone. Che ci guardano commentando a bassa voce. Dico al sanitario al triage di registrare il ragazzo. Mi risponde agitato che aveva detto al padre, che si era presentato con il bambino in braccio, di aspettare un attimo per la registrazione e lo avrebbe fatto passare subito, come per tutti i bambini che vengono nel nostro reparto, ma mi ripeteva sempre più arrabbiato che suo figlio non poteva aspettare neanche un minuto... stava morendo, aveva una grave ferita gridava... non sono riuscito a fermarlo... Si, ha posato il bambino per terra poi è corso verso la porta centrale l'ha presa a calci scardinandola ed è entrato e dopo le urla l'ho visto scappare fuori. 
"Hai chiamato la squadra tecnica?". "Si, ma ci vorrà' tempo ed ora i pazienti entreranno dentro senza passare dal triage, per scavalcare il turno di gravità. Bisognerà' ogni volta farli tornare indietro. Come ai vecchi tempi. Doppio lavoro." "Va beh, dai, in fondo ci ha affidato il figlio", sorrido, "registralo e avverti il posto fisso di polizia." Dopo un poco siamo in sala chirurgica. Questa volta mi ha dato la mano, si è fatto condurre. Lo metto seduto, guardo meglio la ferita la disinfetto faccio un po' di anestesia, la suturo, non dice una parola non fa una smorfia, si stringe solo i pantaloni con le mani lo rassicuro "un solo punto dai! ti è' finita bene... Nessun dolore è vero ? Vedrai che guarirai presto". Gli fisso la benda con il cerotto lo prendo per i fianchi e lo faccio scendere dal lettino... "Vieni andiamo nella mia stanza mentre ti fanno il referto...". Apro la porta: "Entra, mettiti qui su questa poltrona che io faccio intanto una chiamata", non dice neanche una parola; "Vuoi bere un po' d'acqua?" mi fa si con la testa, beve. 
Telefono all'assistente sociale, gli racconto, le faccio il nome del bambino, mi dice che conosce il caso... il padre quando qualcuno della famiglia ha qualche malanno fa sempre così, per non aspettare sfonda la porta urla e lascia lì il parente che ha problemi... e' alcolista e vive con la disoccupazione. Ogni tanto si fa qualche mese di carcere. Va beh, sto venendo, arrivo. Seduto sulla poltrona troppo grande per lui, Giuseppe dondola le gambe che non arrivano a toccare terra, guardandomi con quegli occhi nerissimi dove sembra di vedere, in fondo, il ripostiglio della soffitta dove tiene conservati tanti ricordi, così dolorosi e impolverati che è meglio lasciarli lì dimenticati a fare ragnatele... Mi chiede se ho chiamato la signora, gli dico che sta arrivando, mi chiede il nome, Daniela gli dico, si è lei, mi risponde di rimando, si ricorica sullo schienale bevendo. Bussano alla porta, vado ad aprire, un ragazzone alto più di me dai fianchi larghi con un accenno di barba, si presenta come il fratello del bambino. Con i suoi vestiti piccolissimi, saranno di due fratelli prima, a piedi nudi, entra, mi guarda, E allora? Mi chiede.... Gli abbiamo dato solo un punto, nulla di preoccupante... puoi dire a tuo padre che la prossima volta non c'è bisogno di sfondare la porta per non aspettare, anche perché i bambini da noi passano subito e lui poi si becca una denuncia per danneggiamenti, "È sempre nervoso quando ancora deve bere e ci sono problemi... E se va in galera almeno mangia invece di ubriacarsi tutto il giorno" mi risponde. È nervoso anche lui, non può aspettare, si rivolge al piccolo e a voce alta: "Pippo", così lo chiama, "avanti andiamo". Il ragazzino non si alza, non si mette in piedi, gli dice che aspetta la signora; il fratello gli si avvicina "Avanti, lo sai come finisce! se non torniamo a casa ci da' bastonate", sentiamo una voce, entra l'assistente sociale: "Ciao Pippo come stai?" Lui scende dalla poltrona, le da prima la mano poi l'abbraccia, vanno in corridoio parlottano fra loro; guardo il fratello, lo invito a sedersi, si morde il labbro, sembra un gigante vestito con abiti di bambino come i clown, non mi ero accorto che ha un cerotto in testa, gli indico la benda, "E quella ?" "Mio padre quando non beve diventa pazzo…" Si gira ora grida: "Avanti Pippo, ancora tempo devi perdere?… Quanto ti devo aspettare?". Pippo da un bacio alla 'Signora' come la chiama lui, mi guarda e si avvicina porgendomi la mano per una stretta tra uomini, sento quelle piccole dita irrigidirsi tentando una stretta maschia, un grazie detto senza guardarmi, si gira e va via, li guardiamo perdersi nel corridoio tenendosi per mano con il foglio di carta del referto tenuto ad un angolo che svolazza. Sembrano un vecchio bambino con un Clown ragazzone allampanato stretti mano per la mano, dico all'assistente sociale. "La madre è morta quando lui era piccolo, era una grande obesa, fumava come una turca e stava sempre a letto a fare figli, 7 ne ha fatti, sino a che, dopo la nascita di Pippo, il cuore non ha retto più... E il padre fa avanti e indietro tra carcere e taverne... Hanno tentato di toglierglieli, i figli, ma ancora per questi due non ci sono riusciti. Ora però la denuncia di oggi si aggiungerà alle altre… speriamo… Non vanno neanche a scuola, hanno interrotto, il padre non vuole... E così bastonate e ignoranza, le uniche cose che gli può tramandare. La miseria è brutta! Brutta assai! mah!" si gira, mi saluta, devo andare, e' stata chiamata in un altro reparto, guardo fuori attraverso i vetri della finestra, adesso tutti e due il bimbo e il ragazzone camminano sul marciapiede di fronte giocando a calcio con una pietra, se la passano, corrono, tornano indietro, la inseguono, poi di nuovo avanti, sino a scomparire dalla vista, coperti da un'ambulanza che arriva a velocità' sostenuta col suo carico di dolore, mentre sento il rumore degli operai della squadra tecnica che tentano di far chiudere la porta senza riuscirci. Porte aperte, per oggi e forse anche domani. Come sempre del resto. Qui.

In questo racconto, di pura fantasia, l'anonimato dell'autore è regola non negoziabile al permesso di pubblicazione.

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Dicembre 2014

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Fonti N.°28, DICEMBRE 2014


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