Recensione a cura di Ugo Sottile

Nascono dalla mente intricata e contorta di Karl Blake che insieme a David Knight rappresenta         il fulcro del gruppo intorno agli inizi degli anni 80.
Karl Blake è l’autore dei testi, suona il basso, viene da precedenti esperienze con gruppi come Lemon Kittens dove condivideva la scena con Danielle Dax altro personaggio carismatico di quel periodo, con all’attivo album da solista, partecipazioni a performances di video-art, pittura ed anche cinema. Nel 1985 esce per l’etichetta El Benelux “Not Born Beautiful” insieme a Clive Glower, Mark Rowlatt ed Ashley Wales, in copertina campeggia una figura con una pancia ingombrante rappresentata dal globo terrestre che avanza su un campo cosparso di morte e  distruzione nata dall’immaginazione di G.Bertoletti (1934), che penso abbia voluto rappresentare gli orrori della guerra, sottocopertina del vinile in carta di Firenze; l’album è un incantevole frammento musicale e non, a tratti concettuale che tende a non effettuare citazioni, un album di rara intensità, di una bellezza lacerante che evoca scenari pseudo apocalittici ma pieno di una struggente  bellezza, dove  si travalicano ristretti confini prestabiliti, l’industrial viene usato per giungere a ben altre e più elevate mete e l’imperversante punk è presente solo di straforo, ne viene fuori una magica alchimia di suoni che ti stordisce, semplicemente impressionante  a tratti duro e scostante ma nel contempo poetico.
L’album si apre con una improbabile song dissonante e disturbante “Say no to funk” composta nell’82, segue il primo ma non il solo dei momenti magici dell’album, “Ideal”, con un piccolo intro minimale di circa sette accordi di chitarra che poi si ripetono all’infinito ed accompagnano una splendida voce recitativa, percorsa e rotta da profonde emozioni interiori; la traccia viene arricchita da un fischio modulato che per quanto impensabile, riporta alla  memoria certe atmosfere tipo spaghetti western; la terza traccia “Chalet D’amour”, è una love song che risale al 1979 all’epoca dei Lemon Kittens, e viene qui riesumata e riproposta con splendida enfasi, al violino Christine O’Gorman; “Dog eat dog eat dog” è un intermezzo con elementi  addirittura di free jazz, “Bad Samaritans” è l’esempio che anche la musica industrial può avere delle nenie, decisamente punk è “Parabola”, quindi viene “Miserable Worm” con la voce  di Blake che si alterna con quella di Crystale Quimm, “Mon Repos” è forse l’apice del pensiero pessimista di Karl Blake pervaso da oscurantismo riguardo all’ “english way of life” viene mitigato, in contrasto netto con il testo, solo dallo struggente violino di Christine O’Gorman, con “Wheel in the Bait” si ritorna  all’impronta industrial punk, l’album si chiude con la dolce rabbia struggente di “Kissing of Gods” medidativa considerazione finale di un raid introspettivo esaltato dal sax soprano di Geoff Hawkins.
“All Thing Locked In A Cage Puts All Heaven In A Rage”.
La musica ondeggia nell’aria come un cristallo di neve leggero come una piuma che sembra non volere mai adagiarsi al suolo.
P.S.: esiste una recente ristampa in cd della World Serpent Distribution con un paio di out takes con “Red Sea Burning Black”, traccia rumoristica di oltre 7 minuti, ma che penso non possano rappresentare un valore aggiunto del vinile di cui ho parlato.

Ugo Sottile

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Aggiornato al: 11 Aprile 2011